OK, ecco il resoconto che scrissi per il gruppo, non fu l'unica crisi della mia vita, ne ho avute altre, ma questa è quella che ricordo meglio.
14 marzo 2010, prima gara della stagione, siamo in tre, alla partenza ci rendiamo conto che non sarà uno scherzo, circa 300 partecipanti di cui una nutrita schiera di ex pro e di esaltati con prosciutti alla Cipollini bene in vista, tiratissimi, depilatissimi, oliatissimi e agguerritissimi (e mi fermo qui!).
Si parte, il gruppone di testa si lancia subito a oltre 40Km/h, per inesperienza ci attardiamo, per rimanere in gara è necessario acchiappare qualcuno avanti, ci smazziamo diversi Km a ritmo folle per raggiungere un gruppetto intermedio combattendo contro un vero e proprio muro di vento contrario con forti raffiche, i 30-35Km/h previsti dal meteo ci sono tutti, anzi pure qualcosa in più.
Con un rush che ci è costato tanto, troppo, riusciamo ad inserirci dietro un paio di concorrenti con cui decidiamo di collaborare, ma siamo in cinque, pochi perché i cambi siano riposanti, si fatica tanto, dopo i primi 10Km in piano affrontiamo gli 8 Km di salita di Forchia, pedalabile ma durissima con quel vento, scolliniamo Arpaia e ci fiondiamo nel drittone della Valle Caudina.
A Montesarchio ci apprestiamo alla salita più lunga e dura per salire a circa 1000m sul Monte Taburno, a causa della tirata precedente sento le gambe incollate e legnose (primo segnale), il ritmo è serrato e sprechiamo tanto (errore) per raggiungere un gruppetto che sale a circa cento metri da noi, li raggiungiamo e manteniamo la posizione, ma le mie gambe iniziano a dare segni non confortanti, mi è difficile pedalare in agilità, lacido lattico inizia a produrre i suoi effetti negativi, arriviamo a Solopaca dove affrontiamo a tutta birra uno strappo nel centro storico, a quel punto mi succede il quarantotto nelle gambe, è come se avessero spento la luce, mi inchiodo, non riesco più a spingere, perdo il gruppo, i due amici si accorgono del mio stato e rallentano anchessi sganciandosi, da lì rimaniamo soli e per tutto il micidiale falsopiano fino a Frasso Telesino i due amici si tengono avanti a me controllandomi a vista, sto male, ho un senso di spossatezza e di disagio, ho un freddo cane, tremo come una foglia, la neve è poco più su della nostra testa, forse mi sono vestito leggero (errore).
Mi sembra di essere nel girone dei dannati, pedalo per automatismo, non riesco a fare un pensiero compiuto, mancano circa 10Km al traguardo, il momento più duro, avanzo con il 34-25, su una pendenza inferiore al 2%, è praticamente una pianura ma più di tanto non riesco a fare, sono piegato sul manubrio, guardo i metri che scorrono lentamente sul computer, ho un profondo senso di prostrazione, mi sento di morire e, lo confesso, a tratti piango, mi sento anche in colpa verso i compagni a cui ho rovinato la giornata.
Raggiunto Frasso sono finito, preso dalla disperazione dico ai compagni che voglio fermarmi, chiedo di lasciarmi lì e di recuperarmi con lauto dopo la gara, entrambi si rifiutano e mi incoraggiano, mi incitano e stanno al mio fianco, purtroppo dopo il falsopiano inizia una lunga serie di mangia e bevi micidiali, e sarà così fino alla statale che ci riporta a Maddaloni.
Al traguardo il bip del passaggio con il chip segna la fine delle mie sofferenze, non riesco a scendere dalla bici, mi aiutano letteralmente sollevandomi, mi sento confuso e tremo tutto, mi infilano in macchina e mi danno un the caldo e un gel per rinfrancarmi, così finisce la giornata più brutta della mia vita ciclistica.
14 marzo 2010, prima gara della stagione, siamo in tre, alla partenza ci rendiamo conto che non sarà uno scherzo, circa 300 partecipanti di cui una nutrita schiera di ex pro e di esaltati con prosciutti alla Cipollini bene in vista, tiratissimi, depilatissimi, oliatissimi e agguerritissimi (e mi fermo qui!).
Si parte, il gruppone di testa si lancia subito a oltre 40Km/h, per inesperienza ci attardiamo, per rimanere in gara è necessario acchiappare qualcuno avanti, ci smazziamo diversi Km a ritmo folle per raggiungere un gruppetto intermedio combattendo contro un vero e proprio muro di vento contrario con forti raffiche, i 30-35Km/h previsti dal meteo ci sono tutti, anzi pure qualcosa in più.
Con un rush che ci è costato tanto, troppo, riusciamo ad inserirci dietro un paio di concorrenti con cui decidiamo di collaborare, ma siamo in cinque, pochi perché i cambi siano riposanti, si fatica tanto, dopo i primi 10Km in piano affrontiamo gli 8 Km di salita di Forchia, pedalabile ma durissima con quel vento, scolliniamo Arpaia e ci fiondiamo nel drittone della Valle Caudina.
A Montesarchio ci apprestiamo alla salita più lunga e dura per salire a circa 1000m sul Monte Taburno, a causa della tirata precedente sento le gambe incollate e legnose (primo segnale), il ritmo è serrato e sprechiamo tanto (errore) per raggiungere un gruppetto che sale a circa cento metri da noi, li raggiungiamo e manteniamo la posizione, ma le mie gambe iniziano a dare segni non confortanti, mi è difficile pedalare in agilità, lacido lattico inizia a produrre i suoi effetti negativi, arriviamo a Solopaca dove affrontiamo a tutta birra uno strappo nel centro storico, a quel punto mi succede il quarantotto nelle gambe, è come se avessero spento la luce, mi inchiodo, non riesco più a spingere, perdo il gruppo, i due amici si accorgono del mio stato e rallentano anchessi sganciandosi, da lì rimaniamo soli e per tutto il micidiale falsopiano fino a Frasso Telesino i due amici si tengono avanti a me controllandomi a vista, sto male, ho un senso di spossatezza e di disagio, ho un freddo cane, tremo come una foglia, la neve è poco più su della nostra testa, forse mi sono vestito leggero (errore).
Mi sembra di essere nel girone dei dannati, pedalo per automatismo, non riesco a fare un pensiero compiuto, mancano circa 10Km al traguardo, il momento più duro, avanzo con il 34-25, su una pendenza inferiore al 2%, è praticamente una pianura ma più di tanto non riesco a fare, sono piegato sul manubrio, guardo i metri che scorrono lentamente sul computer, ho un profondo senso di prostrazione, mi sento di morire e, lo confesso, a tratti piango, mi sento anche in colpa verso i compagni a cui ho rovinato la giornata.
Raggiunto Frasso sono finito, preso dalla disperazione dico ai compagni che voglio fermarmi, chiedo di lasciarmi lì e di recuperarmi con lauto dopo la gara, entrambi si rifiutano e mi incoraggiano, mi incitano e stanno al mio fianco, purtroppo dopo il falsopiano inizia una lunga serie di mangia e bevi micidiali, e sarà così fino alla statale che ci riporta a Maddaloni.
Al traguardo il bip del passaggio con il chip segna la fine delle mie sofferenze, non riesco a scendere dalla bici, mi aiutano letteralmente sollevandomi, mi sento confuso e tremo tutto, mi infilano in macchina e mi danno un the caldo e un gel per rinfrancarmi, così finisce la giornata più brutta della mia vita ciclistica.