[MENTION=58406]MBerge[/MENTION],
Io non conosco, ovviamente, la giurisdizione e la normativa del lavoro nei paesi del Far East.
Tuttavia non possiamo davvero, seriamente, ritenere che la tutela e del lavoratore e dell' ambiente e del consumatore, intese sia in termine di diritti del singolo sia in termini di sicurezza della salute, nei paesi dell' estremo oriente sia allo stesso livello di quelli vigenti nei paesi occidentali; fosse anche solo perchè il percorso di sviluppo e le lotte che hanno portato ad ottenere queste normative di tutela sociale e del territorio, da noi sono cominciate ben oltre un secolo fa ma, solo ora, si stanno proponendo in quei paesi dove lo sviluppo diventa l' imperativo principale anche a causa di un gap di benessere economico da colmare a tutti i costi.
Ovviamente questo non vuol dire che in Cina non si possa produrre con qualità e attenzione alla salute (e in effetti molti marchi occidentali producono in estremo oriente ma con un controllo di qualità e normative tali da rispettare i parametri dei paesi in cui questi prodotti devono essere esportati). Tutto questo però, ovunque si produca , comporta dei costi aggiuntivi.
Il discorso diventa complicato e tange aspetti legati al concetto di incauto acquisto e speculazione ma chiunque compri merce ad un prezzo evidentemente irrisorio non può non aspettarsi delle difformità, alle volte anche causa di nocività alla salute, rispetto ad articoli marchiati e garantiti. Senza parlare di aspetti legati a probabile elusione dei tazi doganali ed evasione delle tasse nazionali.
Per quanto, invece, riguarda la seconda parte del tuo discorso premetto che, come puoi vedere dalla firma, io sono convinto e strenuo sostenitore del made in Italy, a maggior ragione in un settore come quello del ciclismo e dell' abbigliamento dove da sempre insegnamo.
Tuttavia non ritengo che l' acquirente sia eticamente vincolato a comprare prodotti nazionali.
Infatti ogni attività, commerciale, produttiva e lavorativa in generale ha un' impronta sul sociale della nazione o, diciamo più genericamente, del gruppo sociale nell' ambito del quale l' azienda opera.
Tuttavia, con le attuali norme finanziarie e di mercato, molte aziende, esse per prime, disconoscono la propria valenza etica all' interno del tessuto sociale. Alcune in nome del puro profitto, altre, spesso a malincuore, per cercare di sopravvivere ad un mercato sempre più senza regole e dove l' attenzione alla qualità, al prodotto e alla socialità sono considerati enormemente meno che una semplice voce di bilancio.
E' l' era del capitalismo finanziario che ha soppiantato quella del capitalismo industriale, dove i padroni del vapore non sono più gli imprenditori o gli artigiani ma gli economisti...
Tutto ciò ha portato alla famosa globalizzazione che in realta è solo una deregulation legislativa e produttiva.
Stante quindi questa dicotomia, non si può ritenere il cliente finale eticamente vincolato ad acquistare articoli provenienti da aziende che hanno il marchio del proprio paese, ma solo il marchio, mentre noi tutti dovremmo sentirci vincolati a guardare a quelle realtà che del made in Italy fanno uno stile di vita. Non una bandierina che faccia lievitare il prezzo dell' articolo.
Oddio , forse sono andato un pò troppo lontano ma io, per parte mia, finche potrò, continuerò ad acquistare bici e accessori targati made in Italy, preferibilmente riconducibili a realtà artigianali (es. Telaisti locali più o meno famosi, ma comunque competenti) o semi-artigianali ( es.
Fulcrum/Campagnolo).
Se poi a pochi euro c'è chi preferisce comprare un completo replica di quale che sia squadra, libero di farlo a suo rischio e pericolo.