Tasse: le imprese italiane sono le più tartassate dEuropa
Lultima analisi realizzata dallufficio studi della Cgia su dati World Bank/IFC, ha analizzato i tempi e i costi medi necessari per espletare gli adempimenti fiscali a carico delle piccole e medie imprese presenti nei principali Paesi dell`Ue.
I risultati sonoincredibili: il tempo necessario per espletare i pagamenti fiscali nel nostro Paese si aggira sulle 285 ore l`anno. In Germania, invece, sono necessarie 215 ore, in Spagna 197 e in Danimarca 135. Chiude questa particolare graduatoria l`Irlanda con 76 ore.
Non parliamo poi del carico fiscale che grava sulle spalle dei nostri piccoli imprenditori che non ha eguali in Europa. Se da noi il peso delle tasse sugli utili dell`azienda è pari al 68,6%, in Francia è al 65,8%, in Spagna al 56,5% e in Svezia al 54,6%. Chiude la classifica sempre l`Irlanda con un carico fiscale pari al 26,5%.
Solo tra il numero di pagamenti fiscali lasciamo la prima posizione ad altri si legge ancora nel comunicato Infatti, la Germania guida questa classifica con 16 scadenze, ma subito dopo ci piazziamo noi con 15. Al terzo posto, tutti con 9 pagamenti, troviamo i Paesi Bassi, la Danimarca e lIrlanda.
21 / 02 / 2011
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Per approfondire: La fiscalità italiana che schiaccia le imprese
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Libro Me ne vado a est Imprenditori e cittadini italiani nellEuropa ex comunista di Matteo Ferrazzi e Matteo Tacconi
Me ne vado a Est è un volume unico nel suo genere. In una qualunque libreria si trovano libri sulla Cina, sullIndia, sul Brasile, sulla Russia. Mai, però, un testo come questo, che sapesse dare una visione complessiva sullEuropa dellEst e che avesse il coraggio e la capacità di raccontare le storie di coloro che hanno varcato lex Cortina di ferro. (Federico Ghizzoni, a.d. UniCredit)
Migliaia di imprenditori e cittadini italiani hanno lasciato il Belpaese per andare a vivere e a produrre a Est, nei Paesi dellEuropa orientale e balcanica un tempo oltrecortina. Me ne vado a Est racconta le storie di chi ce lha fatta e di chi non ce lha fatta imprenditori e manager, calciatori e veline. E, soprattutto, spiega le economie e i sistemi politici di questi Paesi con passione e semplicità, mettendo in evidenza luci e ombre di un processo che sta cambiando lindustria italiana e tutte le nostre vite.
Me ne vado a est ci spiega che l80 per cento delle imprese italiane attive nellEuropa dellEst lavora principalmente in quattro Paesi: Romania, Polonia, Ungheria e Bulgaria. Le aziende italiane con più di 2,5 milioni di euro di fatturato annuo attive in questi quattro Paesi sono 4.000 e rappresentano un quinto della presenza imprenditoriale italiana nel mondo. Sommando le aziende italiane attive in Serbia, Bosnia, Macedonia e altri Paesi, le cifre sono ancora più sorprendenti. Ancora più straordinario è il fatto che il numero di imprese italiane presenti nellEuropa dellEst è quattro volte superiore a quello delle aziende, sempre italiane, attive in Cina. Se tenessimo conto anche delle piccole e piccolissime imprese, la proporzione sarebbe ancora più accentuata. Idem per limport-export: importiamo dallEuropa orientale tre volte e mezzo quello che importiamo dalla Cina; esportiamo a Est un flusso di merci otto volte superiore a quello diretto verso il Dragone.
Me ne vado a Est prova a colmare un grave vuoto di conoscenza e a tracciare unanalisi dei Paesi di destinazione e a spiegare le ragioni, le delusioni e le difficoltà che spingono a varcare la frontiera.
Il testo di Ferrazzi e Tacconi non è un libro solo per economisti. Mette insieme elementi di storia, di cultura e di politica, aneddoti, vicende sociali. È una piccola enciclopedia, adatta ai curiosi come ai viaggiatori, che aiuterà a riscoprire lEst, una regione che è ormai parte integrante del nostro panorama produttivo e culturale.(Angelo Tantazzi)
Con il patrocinio di Confindustria Balcani e di East-rivista europea di geopolitica.
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http://www.linkiesta.it/piacenza-imprenditori-zucchi
«Per aprire unimpresa in Italia servono 40 moduli. Non ne possiamo più»
Dario Ronzoni 23 giugno 2012
Quarantaquattro per il settore alimentare. Un gruppo di imprenditori è stufo e ha deciso di lasciare lItalia. Si ritrovano nella profonda provincia di Piacenza: troppe tasse, troppa burocrazia. Il capofila è Andrea Zucchi, imprenditore della zona diventato famoso a Piazza Pulita, che vuole creare una rete di relazioni con lestero.
«Il vero problema, sa qual è? La burocrazia, che soffoca le imprese», dice un imprenditore. Ha fondato una società di consulenza per la sicurezza informatica, e «lo vedo tutti i giorni con i miei clienti, società e studi per cui lavoro: un disastro. Non si può far nulla senza avere unautorizzazione. E per averla si deve aspettare giorni, se non settimane. Ecco, allestero non è così, è più semplice». È vero: in Italia, per cominciare unattività imprenditoriale servono almeno 40 adempimenti. E, se si è nel settore alimentare, 44. Un labirinto burocratico inefficiente e logorante, che sembra togliere ogni fiducia. E quindi che si fa? «Si va allestero».
Questa, almeno, è la risposta di Andrea Zucchi, 51 anni, amministratore unico della KeyO srl, imprenditore della provincia di Piacenza (e di Milano). Unidea sempre più condivisa e apprezzata. Lui, per farlo meglio, ha convocato per sabato 23 giugno, un convegno a Carpaneto, nel piacentino. «Si chiama Passaporto per la vita», spiega a Linkiesta, «perché intendiamo lasciare il paese per poter continuare a vivere». Partire non è più morire, allora. Il senso profondo del convegno è questo: si possono decidere strategie, trovare idee, condividere esperienze. E soprattutto, organizzare lesodo delle imprese, unarca di Noè che trasporti tutti lontano, «Dove possiamo lavorare». Ma devessere fatta bene. «Vorrei che si formasse una comunità, e si lavorasse insieme per questo». Un progetto che, nella sua semplicità, è gigantesco. Lappuntamento è nel palazzo del Comune, in sala Bot, decorata da pitture del ventennio.
«Una cosa informale», si era raccomandato. Alcuni gli hanno dato retta, ma lui ha battuto tutti, con il buon esempio: pantaloncini, infradito e maglietta gialla, e si staglia in una folla di camicie bianche. «Mi hanno definito un anarchico libertario», spiega. «Ebbene, lo sono». Di lui quasi tutti ricordano il gesto teatrale fatto a Piazza Pulita: la consegna delle chiavi della sua azienda in crisi al sottosegretario al Tesoro Gianfranco Polillo, in segno di sfida, denuncia e di addio. «più che un imprenditore, io sono un trapezista, perché faccio i salti mortali. Eppure, ho unimposizione che raggiunge il 70%. Basta, fate voi, io con educazione, me ne vado», aveva detto. Il suo appello ha colpito nel segno, in molti gli hanno scritto, e da lì tutto è andato avanti. Ospite di Oscar Giannino a Radio24, ha lanciato lidea dellincontro, le persone hanno risposto, ed è nato il Carpaneto Day. O meglio, lIgnition Day: «Sa che significa? Quando si lancia un missile, il conto alla rovescia finisce con lordine ignition: 3, 2, 1, 0, ignition», spiega. «Ecco, il missile è pronto a partire, anzi, sta per essere lanciato». Fuor di metafora, il missile sono gli imprenditori che «vogliono vivere», cioè, andarsene.
«Perché qui non si può più far niente», spiega un imprenditore del tessile, della provincia di Lecco. Ad accompagnarlo ci sono i suoi figli. «Ormai siamo rimasti in pochi, il settore è finito», spiega la ragazza. «Allora cerchiamo idee per uscire da qui. In Svizzera si fa un buon lavoro, si paga poco e le cose funzionano. Ma non è semplice». Meditano di lasciare il paese, seguendo lesempio di alcuni colleghi. «Ci sono designer del tessuto da generazioni. Un lavoro delicato. Ecco, hanno lasciato lazienda, e si sono messi in proprio». Ma non qui: «in Romania».
Lesercito in fuga è corposo. «Anche noi ce ne vogliamo andare», racconta a Linkiesta unimprenditrice friulana. «Io e mio marito ci occupiamo di pitture e vernici, e cartongesso». Un mestiere che fanno da più di trentanni, con tre dipendenti e sempre meno ricavi. «La crisi ha fatto terra bruciata», racconta. Hanno dovuto cominciare a tagliare, su costi, sede e poi fino a ridurre anche il volume della produzione. Adesso«lasciare il paese è lunica scelta possibile», spiega. Ma dove? «Non lontano. O in Slovenia, in Austria, adesso decideremo», racconta. Nella folla, cè anche un nobile, con tanto di castello «che però ho pensato di vendere più volte», racconta. «Si tratta di un bene ereditato da generazioni. Grazie a quello, io mi occupo di ristrutturazioni edili, e di agricoltura, tutte attività nate intorno alla mia proprietà e che poi si sono sviluppate». Sorridente, snocciola storie ed episodi di pubblica inefficienza. «Il problema dei voucher, ad esempio», ride. «Me li hanno fatti comprare, ma nessuno sa come si usano. Tanto che mi hanno dovuto pregare di annullarli, altrimenti non ci si riusciva a pagare». Ma anche storie di permessi negati, dati, ritirati, attesi per mesi. «Un logoramento», ride. «Ma per non piangere», sia chiaro.
Imprenditori della zona e da fuori, commercialisti, artigiani, partite Iva, professionisti. Tutti incuriositi, attratti dallidea di fare affari fuori. Lincontro ha un aspetto seminariale: si spiegano le opportunità di lavoro in Cile e in Paraguay, ad esempio, Per chi vuole restare in Europa, cè la Lettonia. La racconta Lucio, che ha fatto fortuna a Riga come amministrando fondi comunitari per le imprese. «Qui le società si possono costituire in tre giorni, a prezzi bassissimi». I sindacati, dichiara, «se vogliono entrare nellimpresa, devono chiedere il permesso». Applausi e grida. «Lì è diverso: la tua impresa è considerata come una tua casa, cè molto più rispetto», spiega. Ora, però, è tornato in Italia, ha aperto una società a Carpi e fa consulenza.
Intanto si stringono relazioni, si sviluppano interessi. «A me interessa uscire da qui, per ragioni commerciali», racconta a Linkiesta Anna. «Io sono addetta al commerciale di unazienda di artigiani, lavoratori delloro». Ha 57 anni, «per cui non più tanto giovane. Mi sono ritrovata in mezzo alla strada, e senza pensione. Ma mi sono data da fare, e ho ricominciato». Prima era alla Rinascente, e si occupava dei rapporti con lestero. «Sono stata in Cina per lavoro trentanni fa. Così in Corea, Bangladesh, India, Malesia. Ho visto quel mondo cambiare del tutto», mentre «lItalia restava immobile». Per lei, però, è cominciata una nuova vita: «Voglio espandermi, per questo sono qui. Per creare relazioni e aprire ai mercati stranieri». Gli italiani, ormai, «non sono più quelli di un tempo. E io non credo nella loro voglia di fare».
Massacrati dal fisco, logorati dalle lungaggini di uffici e regole incomprensibili, azzoppati dalla crisi. Ma soprattutto, il problema è la pianificazione. «In Italia non si può fare», lo spiega un imprenditore che viene dal Paraguay. Ha lavorato lì da quando aveva quattordici anni. Poi, per nostalgia, è tornato in Europa. «Ho preso una casa in Piemonte, mi costava poco perché non cera più lIci. Era un buon investimento, e poi ci tenevo». Le cose, però, sono cambiate «e allora non mi conviene più. Ma il problema, alla fine, è questo: non si può prevedere niente, non si possono fare piani nel lungo periodo. Non lo fanno gli italiani, figurati le aziende straniere». Un problema politico, senzaltro, e di mentalità. «Un problema che non si può risolvere: se tu anneghi e il paese annega, si muore in due. Se te ne vai, almeno tu sopravvivi». Tutti daccordo. Tranne uno.
Una signora anziana, carpanetese doc, irrompe nellassemblea: «Ma voi volete bene allItalia o no?», grida, e spiazza luditorio. «Cè bisogno di voi, qui. Non potete lasciare il vostro paese. Cè bisogno di coraggio e intraprendenza. Solo voi potete farcela. Restate, e vincete qui». Unaltra retorica, un altro mondo. «Ma noi, da fuori, prendiamo prodotti italiani», spiega limprenditore del Paraguay. «Sì, ma portate fuori il lavoro», lamenta la signora. Poi, in disparte, una ragazza le risponde «Il problema è che il lavoro, qui, non ce lo lasciano fare». E allora, esodo o meno, la questione è qui. Forse ne nascerà un Movimento, per far pressione, o solo per aiutarsi. Capofila Zucchi, poi gli altri. Forse ne verrà anche altro. Ma resta importante, è molto seria.
http://archiviostorico.corriere.it/...ese_emigrano_Cina_meglio_co_5_050302009.shtml
IL 10 PER CENTO DELLE SOCIETÀ HA APERTO UNATTIVITÀ OLTRE LA FRONTIERA
Le piccole imprese emigrano In Cina? No, meglio la Svizzera
Agevolazioni e assistenza: le aziende lasciano Varese. Il presidente dell associazione: «Da loro l Iva è sotto il 5 per cento e l Irap non esiste»
VARESE Dici «delocalizzazione» e subito pensi alle fabbriche trasferite in Cina o in Romania, ai salari che costano un decimo di quelli italiani, alle leggi non severe in materia di salute e ambiente. Sbagliato: c è una fuga di aziende che segue altre piste, che approda addirittura nella Svizzera dove un operaio guadagna molto di più del suo collega italiano, dove con il rispetto dell ambiente non si scherza e dove l evasione fiscale è inesistente. «Ma volete mettere i vantaggi che si ricevono sotto il profilo di servizi dalla pubblica amministrazione e lefficienza con cui si può lavorare?»: Franco Colombo, da pochi mesi presidente di Api, lassociazione delle piccole e medie imprese di Varese, ha sotto gli occhi il quadro del fenomeno. «Circa il 10% dei nostri associati ha aperto unità produttive in Svizzera o ha realizzato joint venture con imprese al di là del confine. Tutto ciò senza chiudere gli stabilimenti italiani». I piccoli industriali varesini l altro giorno hanno incontrato il ministro Roberto Maroni, esternandogli tutte le loro preoccupazioni. «Non vogliamo morire cinesi ha detto Colombo ma vorremmo prendere ad esempio quanto accade a pochi chilometri da noi, dove lo Stato non si comporta da matrigna nei confronti degli imprenditori». Ed ecco venire a galla una realtà che si è fatta strada negli ultimi anni, ma che è conosciuta solo al mondo delle piccole imprese: se molte di loro, specie nella fascia di confine, vogliono ampliare i capannoni o rinforzare l attività si rivolgono ai «cugini» ticinesi, ma anche di altri cantoni svizzeri. Come ha preso piede il fenomeno? «Alcuni anni fa racconta Arnoldo Coduri, responsabile del dipartimento economia del Canton Ticino abbiamo lanciato un programma chiamato Copernico: a chi apriva attività nella nostra zona offrivamo agevolazioni finanziarie, fiscali ma anche assistenza sotto il profilo delle pratiche burocratiche; i nostri funzionari sono tenuti a comportarsi da consulenti per chi arriva qui». In poco tempo 53 società lombarde hanno aperto i battenti a Lugano, Bellinzona e dintorni. Ora il fenomeno investe altre zone elvetiche. «Dover pagare salari più alti commenta ancora Colombo è compensato dal fatto che la tassazione è più bassa: l Iva è sotto il 5% contro il 20% italiano, l Irap non esiste. Poi si trova con facilità quella manodopera specializzata che a Varese come in altre zone lombarde è spesso irreperibile; in più gli oneri sociali solo per il 25% della busta paga contro il 50. E le infrastrutture, a partire dai trasporti, sono di primissima qualità. A Maroni lo abbiamo fatto notare: perché non è possibile anche da noi contrastare la concorrenza sempre più agguerrita migliorando come gli svizzeri i fattori di competizione?». «Già oggi osserva Sandro Lombardi, dirigente dell Aiti, l associazione degli imprenditori di Lugano il 20% delle imprese attive sul nostro territorio ha una matrice italiana così come il 50% della manodopera industriale. Questo fa sì che nel nostro cantone la ricchezza prodotta dalle industrie sia addirittura superiore a quella realizzata dalle banche e dal terziario. E i tre quarti dei prodotti vengono poi esportati, percentuale che solo dieci anni fa era molto più bassa. Perché è successo tutto questo? Per una ragione fondamentale: qui l imprenditore non ha conflitti con le istituzioni. Le tasse si pagano fino all ultimo centesimo, le leggi si rispettano, ma il buon rapporto con la pubblica amministrazione fa vivere tutti più sereni, l imprenditore può dedicare le sue energie migliori al core business dellazienda, non è distolto da altri pensieri».
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] I VANTAGGI
Imposte meno onerose: la pressione fiscale in Svizzera è mediamente più bassa che in Italia, ma le nuove imprese possono ricevere e usufruire di agevolazioni particolari che variano da zona a zona: in Canton Ticino le tasse sulle società dal 1994 a oggi sono diminuite dal 13% al 9% del fatturato;
Burocrazia efficiente: un funzionario pubblico segue passo passo la nascita e l insediamento delle nuove imprese, agevolando attraverso uno sportello unico il disbrigo di tutte le pratiche necessarie. A volte bastano pochi giorni per ottenere documenti e permessi per i quali in Italia sono necessari mesi e mesi di attesa;
Disponibilità di manodopera: nessuna difficoltà a reperire operai specializzati, a differenza di quanto accade in Lombardia, dove, secondo i dati dell Unioncamere, il 45% delle richieste rimane senza risposta. I salari più alti sono compensati da oneri sociali più bassi. Da registrare che nel Canton Ticino il 50% degli operai sono italiani.
PROGETTO COPERNICO:
«Copernico» è il nome dato al programma di marketing varato in Canton Ticino per attirare imprese straniere a Lugano e dintorni. «Elevata qualità della vita, apertura culturale, certezza del diritto, stabilità del sistema, infrastrutture tra le più moderne al mondo»: questi, a leggere il sito internet di Copernico, i vantaggi offerti a chi decide di sbarcare in Svizzera. I servizi vanno invece dalla stesura di un business plan ad agevolazioni fiscali fino a consulenze per esplorare i mercati esteri
Del Frate Claudio
(2 marzo 2005) Corriere della Sera
PROGETTO COPERNICO:
http://www4.ti.ch/dfe/de/copernico/home/
Sostegno pre-insediamento
Consulenza sulle condizioni quadro e i punti di forza del territorio in relazione al progetto specifico.
Accompagnamento durante linsediamento nei contatti con la pubblica amministrazione, il mondo economico e le associazioni di categoria.
Incentivi pubblici per investimenti innovativi nel settore industriale e del terziario avanzato e sullassunzione del personale.
Sostegno post-insediamento
Le società insediate nel Cantone possono inoltre beneficiare di:
Contributi a fondo perso fino al 25% su investimenti innovativi.
Risarcimento degli oneri sociali a carico dellazienda per due anni per ogni nuovo posto di lavoro creato per personale residente.
Contributi per progetti di ricerca e sviluppo tramite centri di ricerca accreditati e lappoggio della Commissione per la Tecnologia e lInnovazione (CTI).
Contributi alla partecipazione a fiere specialistiche.
Contributi a progetti di consulenza nellambito dellinternazionalizzazione.
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